I grandi pensieri vengono dal cuore. Educare all’ascolto

Dal 1988 Eugenio Borgna, psichiatra fenomenologico, intellettuale e divulgatore ha incessantemente pubblicato libri che, a mio parere, vanno a configurare una linguistica dei sentimenti, che indaga e descrive, per comprendere l’uomo e la sua più importante manifestazione: il pensiero.

Sentimenti  che agiscono l’uomo, spesso lo sovrastano fino ad alienarlo (follia) o ad annientarlo (suicidio).  Conoscere questa linguistica dei sentimenti per “… guardare alla vita, alle attese e alle speranze, alle inquietudini e alle ansie, alle illusioni e alle delusioni, alle ferite dell’anima e alle finestre dell’anima, alle nostalgie e alle sofferenze, che nella vita si intrecciano le une alle altre. Sono ferite dell’anima che non sempre si evidenziano se non ne andiamo alla ricerca con le antenne fragili e mobilissime della intuizione, delle ragioni del cuore, che sono in noi, e crescono in noi, talora spontaneamente, e talora sulla scia di un continuo silenzioso educarsi a farle rinascere: si perdono facilmente, ma non bisogna stancarsi di andarne alla ricerca”.

E allora come fare? Imparando i vari linguaggi dell’anima che sono tanti e complessi:  il tempo, il tempo interiore, il tempo vissuto, che non ha nulla a che fare con il tempo dell’orologio … la memoria emozionaleil silenzio, che nasce dalla meditazione e dalla riflessione, dalla preghiera e dalla contemplazione, dalla timidezza e dall’insicurezza, da quello che sgorga invece dalla tristezza e dalla malinconia, dall’angoscia e dall’inquietudine dell’anima, dalla depressione e dalla disperazione… l’ascolto, è facile ascoltare le parole, ma non illudiamoci di comprenderle fino in fondo, se non prestiamo attenzione ai loro contenuti emozionali e alla loro qualità espressiva, alla loro scioltezza e alla loro fragilità, alle loro pause e alle loro accelerazioni, alle risonanze che esse destano nei volti e negli occhi”.

Tuttavia non basta perché: … non c’è conoscenza che non sia trainata dalla intuizione, e questa è nutrita dalle ragioni del cuore … l’intelligenza del cuore, che è medium di conoscenza e di intuizione dell’indicibile nella vita”

E’ necessario anche un metodo. Quello di Borgna è l’appassionato e continuo studio e lettura della letteratura, della filosofia, della poesia, dell’arte… ovvero di tutte quelle arti che descrivono i sentimenti umani, il loro decorso e il loro approdo. Molti gli autori, poeti, filosofi, artisti… che Borgna ci farà incontrare ed ascoltare, citando passi delle loro opere, in queste pagine. Fino a far scaturire quel colloquio: “ noi siamo un colloquio … Il colloquio, con la sua unità, sorregge il nostro esserci”( Hölderlin tanto amato, e citato, da Borgna).

Magnifico libro, forse più di altri di Eugenio Borgna, perché: “molti sono i libri che ho scritto sul tema inesauribile della vita psichica ferita, nelle sue infinite forme di espressione, della malinconia e della tristezza, dell’angoscia e dell’inquietudine dell’anima, della dissociazione mentale e della stanchezza di vivere, delle ossessioni e della noia, e di altre forme ancora, ma in questo libro avrei voluto, vorrei ripeterlo, ricostruire le linee portanti, le architravi, di una psichiatria, così come l’ho vissuta negli anni di lavoro a Milano e a Novara, rinunciando ad ogni linguaggio tecnico, e ricorrendo a fonti letterarie e filosofiche, che fanno parte di ogni psichiatria alla quale possa essere assegnata la qualificazione di fenomenologica… Muovendo da punti di vista diversi, mi sono confrontato con le incandescenti e inesauribili fonti della follia, recuperandone senza fine le concordanze possibili con quella che è considerata la normalità psichica”.

Affidiamo a Gustave Flaubert il nostro perché leggere questo libro di Eugenio Borgna: “ Non leggete, come fanno i bambini per divertirvi, o come gli ambiziosi, per istruirvi. No, leggete per vivere”!

A cura di Paola Tesorieri
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Faccio musica (Scritti e pensieri sparsi)

Ad un anno dalla prematura scomparsa di Ezio Bosso, direttore d’orchestra, compositore, musicista, intellettuale e divulgatore noto a molti, vogliamo invitare alla lettura di “Faccio musica – Scritti e pensieri sparsi”. Un libro non scritto da lui, ma attraverso lui, che deve essere letto con lo spirito di uno spettatore che si siede comodamente, in una platea di un teatro, ad ascoltare una sinfonia che sarà, ovviamente, diretta dal Maestro Bosso. Si, perché questo libro vogliamo metaforicamente rappresentarlo proprio come una sinfonia nei suoi quattro classici movimenti. Infatti gli scritti raccolti coprono i suoi ultimi quattro anni di lavoro e di vita e le pagine si fanno partitura, le parole diventano note e gli strumenti sono i sensi, tutti, dei lettori.

Difficile trasmettere in una recensione di poche righe, la potenza di questo libro. Tuttavia in un passaggio ne individuiamo una possibile sintesi: “… le note sono l’ultimo gesto di un uomo, del tempo che vive e delle sue tradizioni musicali, della sua ricerca, ma anche della sua esperienza e dei suoi sentimenti. Per noi interpreti quelle note sono il primo gesto per far incontrare quell’uomo a chi ci ascolta. Siamo il tramite. Per questo, oltre al pensiero musicale, bisogna cercare il tempo, le idee e anche le esperienze. Studiare la storia per capire la partitura, studiare gli strumenti, come funzionavano a quel tempo per farli viaggiare con quelli di oggi, studiare le tradizioni e cercare ogni indicazione possibile lasciata dal compositore. Studiare la musica è un’opportunità per studiare tutto”.

Meraviglioso quel essere “il tramite” il cui etimo (dal latino trames -mĭtis – sentiero) dà, a mio avviso, una possibile chiave di lettura di questo libro, ovvero iniziare un ideale cammino in compagnia del Maestro.   In questo cammino verremo spronati,  perché:  “… oggi abbiamo mancanza di curiosità, è un fatto endemico e diffuso… Bisogna conoscere di più”. Ma anche consolati per le nostre umane fragilità e paure, come quella per i silenzi: ” Il silenzio di per sé non esiste… non è un vuoto. È un pieno, un pieno di tensione. … Il silenzio ultimamente è una forma di attesa. Tacciamo per ascoltare qualcosa d’altro.… Io ho vissuto silenzi di tanti tipi, ne ho intere collezioni. E ho imparato a starci dentro. L’uomo di oggi invece ne è molto spaventato, ha paura dell’imbarazzo che avverte nel silenzio. E questo perché qualcuno gli ha messo in testa il mito della superiorità della forza. Ma è una menzogna: viviamo in un creato che ci dimostra quanto siamo piccoli. La nostra potenza non è nella forza, nel tentativo costante di affermare noi stessi. C’è una potenza che nasce dalla fragilità, nel non avere sempre le parole. Da quell’imbarazzo che avvertiamo davanti a noi stessi. Perché ci obbliga a trascendere, ad andare oltre. A stabilire nuove connessioni”.

Scopriremo anche un Ezio Bosso adolescente con brufoli, tormenti amorosi, che scriveva poesie e guardava le stelle dal balcone di casa. Poi un giovane che farà della passione per la  musica una professione, grazie ad uno studio costante e ad una ferrea disciplina.  E proprio la: “determinazione e la disciplina che la musica insegna” saranno  la sua forza, negli ultimi anni, nei momenti difficili della malattia. La musica tanto gli chiederà, ma altrettanto lo ripagherà, col successo, i riconoscimenti, il viaggiare incontrando altre culture, individui, artisti,  alcuni dei quali diventeranno come fratelli: “la parola fratello ha un’origine meravigliosa; deriva dal sanscrito bhar – nutrirsi insieme, sostenersi”.

In queste pagine anche un Ezio Bosso uomo che coltiva il piacere di cucinare ed accogliere amici o l’essere un attento e vorace lettore: “sono appassionato di letteratura americana. Sono un divoratore di libri e sono pochi, forse nessuno, quelli che ho lasciato. Rileggo anche due, tre, quattro volte certi titoli. Vengo da una famiglia letteraria dove mio padre faceva debiti per comprare i libri. Leggo dalla saggistica alla narrativa. Mi incuriosisce come uno scrive e non solo quello che scrive”.

Commoventi e durissime le pagine nelle quali parla dei suoi dolori, del suo essere nomade senza casa nel fare la musica, di discriminazioni, incomprensioni, cattiverie gratuite ed invidie: “loro invece creano un nuovo nemico dentro di me: il dubbio che forse abbiano ragione. Che non devo farlo perché non sono bravo, ho dei momenti in cui penso che non devo farla la musica, che tutto questo dolore dentro e fuori sia troppo da sopportare….Vogliono il pianista disabile che fa piangere tutti e dice qualche frasetta da pubblicare nei meme con i glitter e i gattini”.

Ma la sua musica non lo tradirà mai perché: “ la musica è ciò che abbiamo dentro, è ciò in cui esistiamo, in cui ci muoviamo. Il vento che scuote gli alberi, la pioggia sul mare… ma anche la tristezza e la gioia sono suoni. La natura ha tutta la musica che esiste. Il creato è già musicalmente fatto. La musica c’è a prescindere da noi. L’uomo è andato a cercarla per poter scrivere questa grandiosità, per poterla ripetere quando non c’è. Perché la musica, come tutta la bellezza, è una necessità … è memoria per natura. Il suono è la nostra prima memoria a partire dal grembo materno”.

“Faccio musica – Scritti e pensieri sparsi” è un libro per tutti, proprio come la musica, proprio come Ezio Bosso!

Grazie!   

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La Cremona perduta (una guida eterodossa ai perplessi dei nostri tempi)

Per molti giorni ho pensato a come recensire questa guida che sa “condurre altrui avanti a cammino e gli mostra la via da fare”. Alla fine ho deciso di non farlo perché non ne sono capace.  Tanta, troppa roba! Oltre ad arte, storia, letteratura, religione… contiene anche una lettera che accompagna un manoscritto, un misterioso autore con uno pseudonimo curioso, una leggenda antica e tramandata di generazione in generazione… Insomma, una vertigine! La mia, di vertigine, può essere ben descritta dalle parole di  Giovanni Pozzi: “ Del silenzio, il libro, deposito della memoria, antidoto al caos dell’oblio, dove la parola giace, ma insonne, pronta a farsi incontro con passo silenzioso a chi la sollecita. Amico discretissimo, il libro non è petulante, risponde solo se richiesto, non urge oltre quando gli si chiede una sosta. Colmo di parole, tace” (G. Pozzi Tacet – Adelphi 2013). Per incuriosirvi, ulteriormente , riporto il link del video youtube della presentazione del libro e le interviste a Raffaella Barbierato (prefazione) e a Davide Astori (destinatario del manoscritto e autore della postfazione) che, sono certa,  sapranno sfidare audaci lettori ad iniziare il cammino!  

A Raffaella e a Davide il mio grazie! “Ringraziare è una di quelle forme che rischiano continuamente di essere divorate dalla abitudine, dalla routine. Ma in questo caso vorrei collegarlo a parole tedesche che hanno profonde radici comuni: Danke (grazie), Denken (pensare) e Eghedenche (pensieri)”.

Dott.ssa Raffaella Barbierato Direttore Biblioteca Statale di Cremona

– Mi hanno molto colpita le sue parole in una recente intervista: “ io sono una tecnica dei libri e dopo aver letto queste pagine, mi sono emozionata”. Che cosa significa essere una “tecnica dei libri” e che lettore diventa una persona che ha questa formazione e professione? Credo che dalla risposta ognuno potrà, poi, intuire il perché di quel “emozionata”.

Essere un tecnico dei libri significa – almeno per come lo intendo e lo vivo io – approcciarsi al libro nella sua interezza, anche fisica, con un adeguato distacco: quando si prende in esame un libro per, ad esempio, acquisirlo in una biblioteca (o viene considerato per un parere, come nel caso specifico) si tengono in conto tanti fattori (l’originalità e l’utilità del contenuto, la serietà della proposta editoriale, il background dell’autore, la coerenza con le raccolte già presenti, la scientificità della trattazione e potrei continuare per molto), l’ultimo dei quali – che la maggior parte delle volte resta inascoltato, perché così deve essere – è l’interesse soggettivo (nello specifico, il mio) e, tanto più un eventuale coinvolgimento emotivo: ci si avvicina al libro con la responsabilità di proporre ad altri – che non si conoscono – il miglior ‘prodotto’ possibile su un determinato argomento a prescindere dai propri interessi, ma per colmare lacune o proporre novità. Inoltre, il fatto di frequentare migliaia di libri, di tutti i generi, epoche, forme porta ad assumere un giusto distacco professionale, non assuefazione ma un’impressione di ‘già visto’ che pochissimi testi riescono a spiazzare: è il caso della Cremona perduta.

– Confesso che la sua prefazione mi ha inizialmente spiazzata, ridimensionando le mie aspettative e, in seguito, adeguatamente equipaggiata per affrontare una lettura molto complessa per ricchezza nozionistica. Mi sono anche sentita sfidata nel trovare una risposta al suo sibillino dubbio: “… che si tratti di un ludus letterario è un’ipotesi che l’Autore non ha mai voluto confermare” . Tuttavia non rischia questo “libretto” di essere apprezzato solo da una ristretta, forse elitaria, tipologia di lettori?

Manzoni aveva ipotizzato venticinque lettori per i suoi Promessi sposi… Sinceramente, non credo nella ‘lettura di massa’ come misura del valore di un libro. Ci sono ben altri fattori: l’onestà della proposta intellettuale, la serietà scientifica, lo stile, anche – e qui mi sbilancio – le emozioni che suscita e, perché no, lo scambio di idee che provoca. Che poi tutto ciò riguardi milioni di lettori o i venticinque di cui sopra, ha davvero importanza?  Sì, certo, se vediamo il libro come prodotto editoriale (ed è anche questo) i numeri sono importanti, ma che nella fattispecie questo ‘libretto’ possa considerarsi elitario o di nicchia… non credo, anzi, lo trovo un riuscito esperimento di equilibrio tra divulgazione e rigore scientifico. (detto sommessamente, ritengo comunque che anche le nicchie abbiano i loro diritti)

– Lei è di Novara, ma da anni vive e lavora a Cremona, e proprio per la sua professione deve avere una attenzione particolare per la conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale della città e provincia. Che idea si è fatta di Cremona? E la lettura di queste pagine hanno arricchito e suscitato nuove curiosità?

Ormai il tempo passato a Cremona è esattamente il doppio di quello trascorso a Novara, dove sono nata e che ricordo con affetto, ma a cui non appartengo per storia famigliare e origini (veneziane e venete – la distinzione è d’obbligo- con propaggini nel Monferrato profondo): Cremona  ha la particolarità di essere amata e studiata anche (a volte soprattutto, mi verrebbe da dire) da chi non le appartiene territorialmente. Nelle scorribande che mi è capitato di compiere nella storia della città, ho ritrovato spesso i temi proposti dalle pagine della Cremona perduta, che rappresenta davvero un ampio testo della storia (metastoria?) cremonese.

– Perché un libro su una città perduta?  Le città italiane hanno ancora bisogno di libri che le raccontino?

Perduta, più che la città, rischia di esserne la memoria: questo è un libro sulla memoria, ed è l’obbligo (scientifico ed etico) di non perdere la memoria che impone la necessità di raccontare. Non solo le città, ma soprattutto gli uomini, perché sono le storie degli uomini che fanno le storie delle città. Per questo ci sarà sempre bisogno di non dimenticare, quanto meno per non perdersi: non è un caso che in questo libro si voglia vedere una guida.

Prof. Davide Astori Docente di linguistica generale presso l’Ateneo di Parma

– Chi sono i “perplessi dei nostri tempi”, indicati come privilegiati destinatari di questa guida eterodossa della Cremona perduta?

Gentile Paola, credo che l’autore, che mi ha imbeccato il titolo, pensasse alla “Guida ai perplessi” di Maimonide, testo filosofico di uno dei più significativi filosofi ebrei (fra l’altro originariamente scritto in arabo). In quel caso, i “perplessi” erano tali di fronte all’imbarazzo che vivevano derivato dalle contraddizioni tra gli insegnamenti della filosofia e il senso letterale del Testo sacro, fra profano e sacro. Difficile però dire quale fosse il rimando più specifico. Certo viviamo in un mondo intricato e confuso (questo è il significato primario di ‘perplexus’), dove è sempre più difficile distinguere fra reale, ammesso che esista, e narrato.

– Maior o Meior (dettaglio che solo il lettore più attento potrà cogliere) le affida il suo scritto accompagnandolo con queste parole: “… ho temuto di lasciarti un testamento tanto pesante. Ma resti … – umanamente e per la tua formazione culturale – la persona più adatta per ricevere questa sorta di “iniziazione”. E lei conclude la sua postfazione con:   “… liberandomi da questa strana storia, dandola in pasto ai possibili lettori, la brucio in una catarsi che, confesso, meditavo comunque da tempo … una parte di me continua a provare un fastidioso disagio, difficile da mettere a fuoco”. L’uso del termine Catarsi è inteso come una purificazione (fedele all’ etimo e al rimando aristotelico) o come rielaborazione di situazioni conflittuali (scomodando la psicoanalisi)?

Non vorrei deluderLa risultando eccessivamente banale, ma la scelta di pubblicare fu forse d’acchito l’occasione di togliermi da un profondo imbarazzo. La storia raccontata è strana, troppo strana. Immagini di ricevere Lei un documento di quel tipo: non La sfiorerebbe l’idea che qualcuno, più o meno volontariamente, possa impaniarla in qualcosa di eccessivamente intricato, per tornare al ‘perplexus’ di poco sopra? L’unico modo in certi frangenti è pubblicizzare: una volta che tutti sanno, non è più un problema del singolo che sa. Complimenti, poi, per l’acume con cui ha notato la variante del nome. Confidavo che la maggior parte dei lettori non la cogliesse. La soluzione più facile è che sia un refuso. Un editore, però, prima di confessare una superficialità addirittura nel titolo, lascerebbe certo intendere altro…

– Dopo il tempo che avrà dedicato a questo manoscritto, immagino riletto più e più volte, e che le avrà necessariamente imposto anche delle specifiche ricerche per l’obbligo di svelare il vero dal verosimile  dei tanti (a volte davvero troppi) rimandi storici, artistici, letterali …  è cambiata la sua affezione per la sua città, Cremona? 

Amo da sempre la mia città, è il luogo che mi ha dato i natali. Che io viva e paghi le tasse a Parma non fa alcuna differenza: è un puro accidente, aristotelicamente parlando. Cremona è una città meravigliosa, anche nelle pieghe della sua Storia.

– Ha mai pensato di utilizzare questo corposo materiale per la stesura di un romanzo dedicato ad una città “ fuori dai grandi giri, dai grandi interessi”? 

Non ne sarei in grado, Paola. Tra l’altro, nello specifico avrei tradito la fiducia e l’affetto di chi mi ha consegnato il manoscritto. Non avrei mai potuto appropriarmene: eticamente, in primis, e poi perché non sarei successivamente stato in grado di sostenere la parte. Ci sono contenuti, in quelle pagine, che le mie competenze non mi permettono di fingere di poter fare miei. E poi, non ci si improvvisa scrittori di romanzi (o di altro), a meno di rischiare di finire soffocati nelle proprie velleità…

– Riprendo ancora un passaggio della sua postfazione: “Ho pensato più volte di pubblicarle anonimamente, perché convinto che fossero abbastanza basse di livello da potersi conquistare una piccola fetta del triste mercato editoriale contemporaneo…” Qual è o quali sono i criteri che le fanno definire queste pagine, di basso livello?  E’ proprio tanto “triste” il mercato editoriale contemporaneo? Nulla si salva? 

È difficile, in questo periodo di New Age che declina verso una Next Age, capire, a volte, cosa sia cultura e cosa cialtronaggine, soprattutto in alcuni àmbiti. Lette superficialmente, quelle pagine sembrano la peggior feccia di nulla, il tentativo di qualcuno di vendersi come un Dan Brown della bassa. Io per lavoro sono abituato a un approccio più scientifico, di dati e riscontri. Qui si deve scavare sotto il velame della narrazione, dove è difficile separare il grano dal loglio. Non è il mio ambiente, non mi ci trovo pienamente a mio agio. Quanto al mercato editoriale contemporaneo non Le so dire: mi sembra, a ogni modo, che si adatti allo stile più generale della vita sociale e culturale del Paese, se non del mondo. Nella contemporanea democrazia 2.0 si vende, e dunque a monte si produce, il prodotto – perdoni il gioco di parole – che il pubblico chiede e paga, con tutte le conseguenze socio-politiche, prima ancora che culturali, del caso.

– Oltre ad essere letta questa sua pubblicazione, come immagina possa essere sfruttata? 

L’editore (e qualche amico) mi ha(nno) chiesto la disponibilità a guidare qualche passeggiata fra la città o qualche gira fuoriporta per la provincia, e lo farò senz’altro, e con grande piacere: è certo un modo per valorizzare Cremona e il suo territorio. Per il resto, una volta partoriti, i libri vivono di vita propria. Vedremo cosa andrà muovendo questo.

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“Una sella, due ruote, tanti ricordi” di Omero Calvi (con intervista all’autore)

Questo libro mi è stato omaggiato, dallo stesso autore, alla fine di una cena di motociclisti. La sera stessa, arrivata a casa, ho dato una rapida occhiata aprendo a caso il libro, lo ammetto, un poco prevenuta. Mi aspettavo una sorta di compendio auto celebrativo del centauro navigato che si descrive come una sorta di moderno ed invincibile cavaliere in perenne lotta con l’asfalto. Ma sono stata felicemente smentita! I brevi paragrafi letti scorrevano veloci e venivano descritti scorci di panorama assaporati nel lento ondeggiare del, familiare ai motociclisti, lasciar scorrere la moto:

“La vista laterale mi regala ampi scorci della pianura dei colli veneti che salgono, operosi e tranquilli, verso i primi contrafforti alpini”.

Adoro questo poetar-prosando (come amo definirlo io) che, dosando poche e precise parole, riesce ad evocarti una immagine mentale nitida ed immediata, di ciò che deve rappresentarti. Diligentemente inizio dal primo capitolo: “gli esordi” e “la prima volta”. La lettura scorre veloce, anzi vorace. Da motociclista alle prime armi mi sento rappresentata, quasi capita, nel leggere quegli stessi timori, ansie, paure e smanie delle mie prime uscite in moto. Poi arriva la frase:

“E se la moto fosse veramente il modo diverso di viaggiare che io stavo cercando?”

La mia lettura si arresta e, come una rivelazione, prendo consapevolezza di un qualcosa che davo per scontato, ma mi rendo conto non esserlo affatto.  Tento una risposta in base alla mia poca esperienza, ma vince la curiosità di trovarla proseguendo a leggere. E così “salgo in sella” sulle tante moto descritte, con dettagli tecnici, e guidate dall’autore: dalle turistiche alle sportive. Cambiate per modificate esigenze di viaggio o per una acquisita maturità come pilota che esige di più. Moto nuove che “devi” prima o poi appoggiare a terra, spesso da fermo, e che l’amico Davide sa come attenuare quel dolore misto a rabbia che ti trafigge: “tranquillo, è solo il primo di tanti… vedrai quante ammaccature metterai insieme da qui a un anno!”. E l’entrare in concessionaria, magari ancora con le stampelle, per cercare la nuova moto e pensare poi alle necessarie modifiche da apportare per appagare occhio ed orecchio o per una miglioria tecnica indispensabile. E poi via per strade che si snodano in boscaglie dai tanti toni di verde che virano in base alle condizioni climatiche. Conquistare passi e lasciarsi sedurre da panorami inattesi. Itinerari noti o nuovi (ammetto, ho preso appunti!) delle tante vallate del nord Italia o quelle amate della Toscana, fino al viaggiare in Francia ecc … Come unica costante, la strada che impari a leggere per guidare al meglio, per evitare il pericolo o da mordere quando “… un motociclista svizzero ci passa in tromba! Caricaaa! Non sia mai, dobbiamo vendicare l’onta! Lo inseguiamo a gas aperto, lo raggiungiamo, ci studiamo, ci sorpassiamo e Luca tira un paio di –sfiammate- col cavalletto centrale che raspa per terra! E’ quello che si dice scollegare il cervello e farsi prendere dal gusto della sfida, dal fatto che i motociclisti sono un po’ bambini, e come tali spesso si lasciano prendere dall’incoscienza..”

Ho riso di gusto alle tante battute che la stanchezza fisica e il  buon vino condiviso alimentano nelle necessarie soste per ristorare corpo e concentrazione o a fine giornata. In quei momenti ti senti un tutt’uno con un gruppo di amici dai differenti temperamenti motociclistici e personalità. E poi i sapori … quel carpaccio di cervo con marmellata di mirtilli deve essere mio! All’inizio di ogni nuovo giro rivivi quella frenesia del salire in sella per ritrovare gli amici: “Ho voglia di arrivare per ritrovare facce conosciute, persone che condividono la mia stessa passione, che sanno di cosa sto parlando in questo momento, ma nello stesso tempo vorrei che la strada si prolungasse per lasciarli lo spazio, il tempo per continuare a vagare con la mente verso il centro di me stesso e della mia vita”

In queste pagine si entra anche in intimità con i dolori dell’autore che condivide e seziona chilometro dopo chilometro nel suo  DA SOLO:  “… stavolta non era il divertimento che stavo cercando … quando sabato son partito da casa io cercavo la solitudine ed il silenzio o meglio cercavo l’occasione per fermare il mio mondo per un momento. Ora mi sento di nuovo pronto ad affrontare il mio tran-tran, la mia vita, le tristi, lunghe, tediosi giornate di lavoro e le solitarie serate casalinghe. Meglio, ora so di poter rincontrare gli amici con un rinnovato gusto, anche se sembrerà, ai più, quello di sempre …”

Nella penultima parte c’è una raccolta di poesie dell’autore stesso a tematiche differenti che quasi incorniciano i tanti viaggi descritti negli anni. L’ultimo capitolo è dedicato ai personaggi ed interpreti con i quali  è stata condivisa la strada. Come a volerne fare idealmente ritratti da custodire, gelosamente, in una personale galleria della memoria sia per l’autore che per il lettore.

Quindi, alla fine, il libro risponde alla domanda: “E se la moto fosse veramente il modo diverso di viaggiare che io stavo cercando?” Al lettore scoprirlo, ovviamente! Ma posso dare un aiutino: “ Non c’è niente come tornare in un luogo che non è cambiato, per rendersi conto di quanto sei cambiato. (Nelson Mandela)

DATI LIBRO: selfpublishing – 2019 – pag. 276

INTERVISTA ALL’AUTORE

Perché questo libro?

Questa raccolta di ricordi nasce come “strenna natalizia” che voleva riunire in un unico testo, volume, quelli che erano i ricordi comuni del gruppo di amici che prendeva il nome di Motoclub Piega & Divora. Voleva essere qualcosa che “tramandasse” i ricordi di un gruppo di amici, amici veri, reali che dall’ottobre del 2000 ad oggi, hanno piacere nel trovarsi assieme per girare assieme e condividere le tavolate.
Poi spinto da alcuni amici e da un pizzico di vanagloria, ammettiamolo, ho aggiunto anche i miei ricordi pre-club e le poesie (o presunte tali).

L’arco di tempo narrato è vasto, dal 1991 al 2006. Con che criterio hai selezionato viaggi, ricordi ed annotazioni?

L’arco di tempo và dal 1991 al 2006 perché nel 1991 cominciai a tener nota dei viaggi che facevo, e il 2006 è l’anno in cui distribuii il risultato alle persone citate nella raccolta.
L’unico criterio seguito nell’assemblare questa raccolta è quello dei miei ricordi, delle mie sensazioni, a volte della casualità. Le annotazioni che precedono i singoli racconti sono state aggiunte a posteriori, solo per aiutarmi a ricordare i vari contesti in cui si svilupparono, nacquero, si svolsero i vari viaggi.

Chi sono i “motociclisti praticanti” e quale è questo “piacere” nell’esserlo?

Chi è il “motociclista praticante”: difficile a dirsi, oggi. Bisogna ritornare all’ambiente degli anni ’70, quando la moto era solo il primo, concreto mezzo per evadere dalla quotidianità. Una quotidianità fatta di cose sognate, immaginate, viste forse qualche volta in TV. Negli anni ’70 non c’era internet con le possibilità di connessione e di ricerca che ci sono oggi.
Il motociclista “praticante” era quello che raggiunti i 18 anni e fatta la patente B, non abbandonava la moto per l’automobile. Semmai la integrava, continuando ad usare quotidianamente la moto, e dove possibile, ci andava anche in vacanza, o si concedeva un WE per andare a trovare amici. Il piacere di essere stava nel fatto che chi abitava in provincia, soprattutto, non aveva tutte le possibilità dei “cittadini”, per cui il primo desiderio era quello di “evadere”, per cui la dueruote era il primo mezzo che ti dava la possibilità di sottrarti al controllo di genitori/parenti.

Difficile definire il genere del tuo libro, forse una sorta di romanzo di formazione, utile per diventare motociclista. Chi è per te un vero motociclista e che analisi fai del andare in moto in Italia oggi?

Non è facile definire uno “stile” per il mio libro.
La sua stessa genesi non è classificabile per via del fatto che era rivolto a mettere in fila una serie di avvenimenti in cui le persone citate erano comunque coinvolte in prima persona.
Ecco perché quello che c’è scritto è assolutamente vero: mica potevo romanzare fatti cui i personaggi avevano partecipato, i avevano vissuti insieme a me in prima persona…
Questo libro non pretende di essere un insegnamento o una guida per chi vuole diventare motociclista. Al proposito io dico sempre che non sono la Madonna di Fatima, non è che arrivo io e ti svelo i tre misteri della moto o del mototurismo e ti offro le soluzioni. Io racconto le mie “avventure”, i miei viaggi.
Poi se questo aiuta qualcuno o è di guida a qualcuno, questo è un di più, non voluto.
Dare una connotazione al motociclista di oggi non è così facile.
Già a partire da chi è nato negli anni fine 70 inizi 80, quando ha raggiunto i 14/16 anni non aveva più quell’esigenza di rendersi indipendente, di cercare stimoli diversi dal quotidiano tran tran fatto di casa-scuola-bar-casa-bar o piazzetta di ritrovo, dove passare la serata in compagnia.
Ormai avevano a disposizione la possibilità (anche economica) di andare al cinema, andare in città, andare in vacanza da soli. Quindi quello spirito un poco “ribelle” che portò la mia generazione alle dueruote non aveva più lo stesso senso, lo stesso spirito.
Ecco perchè tra i cinquanta/sessanteni di oggi ci sono due macro categorie di motociclisti:
Quelli di ritorno, cioè quelli che vogliono tornare a sentirsi come quando avevano 15/16 anni, e i “talebani”, quelli cioè che la moto non l’hanno mai lasciata. Quelli che hanno continuato a sentirsi dentro lo spirito del nostro film cult “Easy Rider”, o le nostre letture top: On the road di Kerouac o Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta di Pirsig. I giovani sono pochi quelli che sono al di fuori della moda o dello spirito racing a tutti i costi.

Che letture consiglieresti ad un motociclista?

Difficile consigliare letture a chi si approccia al mondo della motocicletta oggi.
Potrei aggiungere ai due citati sopra anche Una mappa per due di Leopoldo Tartarini e Giorgio Monetti che racconta il giro del mondo fatto da loro due con due Ducati 175, quando partirono da Bologna nel settembre del 1957 per compiere il giro del mondo, appunto.
Per altre letture il web offre una panoramica assolutamente completa e varia per singoli argomenti.
Una cosa che mi sento ancora di consigliare sono le guide della Lonely Planet, perché lo spirito del mototurista si nutre del sogno di raggiungere una meta. Quindi niente di meglio di una buona guida turistica per cominciare ad immaginare di arrivarci e girarci.

Cosa è per te l’andare in moto oggi?

Per me oggi andare in moto è il piacere di raggiungere gli amici, di viaggiare ancora, di conoscere posti e storie nuove, di condividere il piacere di un bel giro. Insomma, non è cambiato lo spirito di sempre.

Tieni ancora nota dei tuoi viaggi e scriverai un nuovo libro?

Non di tutti i miei viaggi o giri tengo nota oggi. Più passa il tempo e più, per i motivi più vari e spesso pressanti, mi riesce difficile ritornare agli anni d’oro.
Il mio sogno nel cassetto è quello di scrivere un romanzo dove raccontare quelle esperienze raccolte in anni sulla strada. Una sorta di autobiografia che racconti cosa mi ha spinto ad essere quello che sono, motociclisticamente parlando. È un progetto che mi sta creando una serie infinita di dubbi e non so se e quando vedrà la luce.

Un viaggio che non hai fatto e che vorresti fare e perché?

I viaggi che non ho ancora fatto.
Beh, ne ho alcuni che vorrei riuscire a fare. In ordine sparso: Vietnam, Marocco, Scozia e Irlanda, la Route 66. Tutti viaggi, comunque, dove è passata una parte importante della Storia.
Vietnam: la prima guerra vissuta in diretta attraverso le immagini dei Telegiornali.
Scozia e Irlanda: le storie e le leggende celtiche e medievali.
Marocco: per la bellezza dei luoghi e soprattutto del deserto che, dopo due vacanze in Tunisia, mi ha lasciato un segno profondo. La Route 66: da lettore di Kerouac non può essere diversamente. Viaggi che resteranno sogni, purtroppo, per me sono diventati inarrivabili per questioni di fondi e di tempo a disposizione.

Recensione ed intervista a cura di Paola Tesorieri

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Intervista a IVAN MIGLIOZZI

 

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Ivan Migliozzi è un giovane autore lombardo che da qualche anno ha iniziato a dedicarsi al suo primo progetto di scrittura, la saga per ragazzi Le avventure di Miki, Tommi e Gio. Ad oggi la serie consta di due volumi, Il mondo dei tibot e Il mare di Goondocks, mentre il terzo è in corso d’opera.

Andiamo a conoscere meglio l’autore e i suoi libri in questa intervista.

  1. Ciao Ivan. Innanzitutto dicci come è nata la tua passione per la scrittura e come essa ti ha portato a concepire il tuo primo romanzo, Il mondo dei tibot.

Ciao Christian, la mia passione per la scrittura è nata pian piano in me dopo aver letto libri su libri. Libri fantasy, di fantascienza, d’avventura. In me è sorta un’idea, una storia di fantascienza, tre ragazzi dei nostri giorni, tre ragazzi normali, che si ritrovano in un mondo del futuro, popolato da umani e tibot, alla ricerca del modo di ritornare a casa, nella propria era. Ed è così che ho deciso di provare a scrivere questo primo romanzo, preludio della trilogia Le avventure di Miki, Tommi e Gio.

  1. Come si è evoluto il tuo percorso dal completamento del romanzo alla sua pubblicazione?

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“I pulcini baldanzosi” di Marisa Piccioli

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Per dettagli libro, casa editrice ed autore clicca qui

I pulcini baldanzosi è una fiaba illustrata di Marisa Piccioli, pubblicata da Giovane Holden Edizioni nel gennaio 2015. L’opera conserva una narrazione romanzata, tipica della letteratura per ragazzi, con allegate varie illustrazioni, ad enfatizzare i contenuti.

È un libro dedicato ai bambini e agli adulti che di loro si prendono cura. Lo scopo è didattico, ovvero quello di aiutare i minori ad indagare sulla natura e a pretendere di vedere coi propri occhi quel che viene insegnato a scuola o nei libri.

Nina, Andrea e Lisa sono tre amici che desiderano vedere la nascita dei fenicotteri, evento che avviene in primavera. Essi convincono i loro genitori a fare una vacanza in Camargue, dove sul Rodano vi è un isolotto in cui questi uccelli, per difendersi dai predatori, vanno a riprodursi. Continua a leggere

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“Eternal War. Gli Eserciti Dei Santi” di Livio Gambarini

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ISBN 9788899216245 Prezzo 12€ Casa editrice: Acheron Books – Disponibile anche in ebook

Voi che per li occhi mi passaste ’l core
e destaste la mente che dormia,
guardate a l’angosciosa vita mia,
che sospirando la distrugge Amore.

E’ vèn tagliando di sì gran valore,
che’ deboletti spiriti van via:
riman figura sol en segnoria
e voce alquanta, che parla dolore.

(Guido Cavalcanti)

Montaperti, 1260.

Guelfi e ghibellini si fronteggiano in una sanguinosa battaglia che termina con la sconfitta dei primi. Le milizie in lotta sul piano della Materia non sanno che lo scontro si sta svolgendo anche su un altro livello, ancora più decisivo: quello dello Spirito. In esso una miriade di entità soprannaturali manipolano le azioni degli uomini per cui patteggiano, oltre a contendersi direttamente tra loro le sorti del conflitto.

Kabal è l’Ancestrarca protettore del capofamiglia (o Pater Familias) dei Cavalcanti da generazioni. A Montaperti sospinge Schiatta Cavalcanti a sacrificarsi per salvare il figlio Cavalcante, affinché quest’ultimo possa a sua volta continuare a badare al proprio figlio Guido, destinato a una vita prodigiosa e sul quale Kabal ha scommesso il riscatto non solo della famiglia Cavalcanti, ma dell’intera fazione guelfa.

Al momento però Firenze cade nuovamente in mano ai ghibellini, a capo dei quali sta Farinata degli Uberti. Alla sua morte gli succede il figlio che, in quanto Pater Familias, gode della protezione dell’Ancestrarca Chiaranima. Guido, ormai adulto e capofamiglia dei Cavalcanti, si prefigura come il contendente più adatto a riportare Firenze in mano ai Guelfi. Le cose si complicano quando Bice, sorella di Lapo, intraprende una relazione con Guido. La momentanea tregua tra le due famiglie, già precaria, rischia di precipitare in un nuovo conflitto armato.

Tutto questo è solo una ripercussione del complesso di intrighi in atto sul piano dello Spirito, dove le entità di rango più elevato manipolano gli umani per i propri tornaconti.

Avendo accennato agli Ancestrarchi, mi limito quantomeno a presentarli brevemente. Sono rinomate entità del mondo dello Spirito, ognuna legata intrinsecamente a un Pater Familias attraverso l’Abbraccio al Capofamiglia. Gli Ancestrarchi sfoggiano sul dorso quattro drappi svolazzanti con cui manipolano le emozioni umane (associate a sfumature di colore) o materializzano armi e oggetti di ogni sorta. Nel mettere in atto le loro abilità più portentose gli Ancestrarchi consumano gocce di Virtù, una riserva rimpinguabile in svariati modi. Mi fermo qui. Gusterete appieno il mondo dello Spirito in tutta la sua complessità solo addentrandovi nella storia. Tra l’altro, viste le potenzialità di una tale ambientazione, non dubito che Livio Gambarini abbia in programma almeno un seguito di Eternal War: Gli eserciti dei santi.

Se l’autore si è dimostrato all’altezza nel tratteggiare una Firenze realistica, fedele al periodo storico trattato, maggiore è il merito nell’aver concepito un mondo ultraterreno tanto complesso quanto originale. Esso pullula di tutto l’immaginario concepito dalla cultura italica antica e medievale, tenuto in piedi da un sistema originale e coerente inventato dall’autore. Il suo stile di scrittura, asciutto ma preciso, rende il testo dinamico e coinvolgente. Entrambe le ambientazioni, Spirito e Materia, vengono evocate con nitide e snelle pennellate, utili quanto basta a conferire consistenza allo scenario senza appesantirlo con lungaggini descrittive. Starà al lettore, inoltrandosi nella storia, mettere insieme tutti i tasselli e ricostruire le meccaniche che muovono i due piani dell’esistenza.

Tra i personaggi storici fa la sua apparizione anche Dante Alighieri, ancora troppo giovane e introverso, ma che racchiude in sé più di un talento che lo rendono un individuo raro e dal futuro radioso.

Dopo Le colpe dei padri, il best seller dell’editore Silele ambientato nell’Italia del ‘300, Livio Gambarini sforna un’altra opera di grande pregio.

Eternal War: Gli eserciti dei santi è un libro che si divora, complici il ridotto formato del volume e la scorrevolezza della storia. Come detto, le potenzialità dell’ambientazione non sono ancora emerse pienamente in questo primo libro. Attendo i seguiti con la speranza che la qualità generale possa solo crescere, perché le premesse per una grande saga ci sono tutte.

Recensione a cura di Christian Lamberti

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“Mi chiamo Lucy Barton” di Elizabeth Strout

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“Ci fu un tempo, ormai molti anni fa, in cui dovetti trascorrere quasi nove settimane in ospedale. Succedeva a New York e la notte, dal mio letto, vedevo davanti a me il grattacielo Chrysler con la sua scintillante geometria di luci.”

Vorrei segnalare il nuovo romanzo della scrittrice statunitense Elizabeth Strout, vincitrice del premio Pulizer per la letteratura nel 2009 con Olive Kitteridge. Pubblicato da Einaudi all’inizio di maggio 2016, il libro presenta le caratteristiche che hanno reso grandi molti romanzieri americani, e decretato il successo della stessa autrice. La trama si basa su nulla di eclatante; su eventi fortuiti che potrebbero capitare a chiunque. Due donne, madre e figlia, chiuse per cinque giorni in una camera d’ospedale, a parlare di tutto ciò che ad esse passa per la mente. Più che sugli eventi, quindi, questo è un romanzo la cui forza è data dalle emozioni suscitate, di volta in volta, dai dialoghi nelle due protagoniste. Sentimenti che si ripercuotono su una vita intera, e su un passato di miserie che viene inevitabilmente rivangato. Continua a leggere

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Intervista ad Alessandro Manzetti

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Alessandro Manzetti (1968) è nato a Roma. E’ scrittore, traduttore ed editor.

E’ con grande orgoglio che il Libro del Martedì ha il piacere di ospitare per un’intervista Alessandro Manzetti, il primo autore italiano ad aggiudicarsi il Bram Stoker Awards (il più importante premio letterario internazionale per autori dell’orrore), conseguito il 14 Maggio fa presso il Flamingo Hotel di Las Vegas. La sua raccolta di poesie dark Eden Underground gli è valsa il titolo per la categoria Poetry Collection.

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Lasciamo che sia Manzetti, nel corso dell’intervista, a dirci di più riguardo la sua esaltante esperienza e la sua prolifica carriera che lo vede impegnato su più fronti nell’ambito della letteratura di genere.

Innanzitutto complimenti Alessandro. Questa tua vittoria fa onore alla letteratura italiana che grazie a te ha guadagnato un nuovo, importantissimo traguardo. In merito alla tua trasferta a Las Vegas per la cerimonia di premiazione, quali emozioni ti hanno accompagnato in quei giorni? Eri ottimista per la vittoria? Quali momenti, oltre la premiazione, sono stati particolarmente significativi?

Ti ringrazio. Prima della premiazione ero molto sereno, rilassato, non mi aspettavo di vincere e avevo già provato lo scorso anno, alla World Horror Convention ad Atlanta, l’emozione di ricevere una nomination per questo premio. Poi quando ho sentito il mio nome, l’emozione mi ha stretto la gola per un momento, ho guadagnato il palco senza fiato e, una volta davanti a quell’incredibile platea, con in mano il premio e un microfono davanti, la felicità e l’orgoglio per il mio Paese, per la prima volta vincitore, si sono rivelati appieno. A parte la premiazione, un altro momento indimenticabile di quella magica serata l’ho vissuto al party successivo alla cerimonia, sulla terrazza dell’Hotel Flamingo di Las Vegas, dove fino a notte tarda ho festeggiato insieme a tanti cari amici scrittori, da ogni parte del mondo, che hanno condiviso questa affermazione con grandissimo affetto nei miei confronti.

Eden Underground è l’opera che ti è valsa il prestigioso riconoscimento. Qual è stata la sua genesi e che messaggi veicolano le poesie che la compongono?

Eden Underground racconta, in modo surreale e con tinte dark, la solitudine umana che a volte sfocia nella psicosi, nella follia, nella perversione. Quando la vita diventa un vero e proprio Inferno, quando ci si sente fuori dall’ordine delle cose, sociale e umano, quando ci si sente parte di uno scuro ghetto, prigionieri di se stessi, accade che qualcuno preferisca inventarsi una vita parallela, malvagia, un vero e proprio Eden immaginario a proprio uso e consumo. Un paradiso artificioso che per vivere e mantenersi miete vittime di diverso tipo, assecondando le più svariate necessità e pulsioni, perché ognuno ha il proprio, di Eden malvagio, nei bassifondi della propria anima. Aprire certe porte, significa scatenare qualcosa che non possiamo più fermare. La cronaca nera ogni giorno ci racconta cose simili, improvvisi Inferni che divorano persone. Eden Underground racconta queste storie, ma da dentro, da dove nascono, dal cuore stesso della deformazione, dell’enormità del male.

Dopo aver metabolizzato questa straordinaria vittoria, come ci si sente ad essere nell’Olimpo degli scrittori di genere? Quali nuovi propositi ti sei prefissato?

Metabolizzare una cosa del genere non è facile, per il genere horror e dark il Bram Stoker Award è considerato un punto di arrivo. Sono ancora preso dalla magia di quella serata a Las Vegas, ma comincio a pensare che sia accaduto davvero, e dunque devo necessariamente prepararmi per nuove sfide; visto il livello di questo premio, che è già il massimo raggiungibile, il mio proposito ora non può essere altro che quello di tentare di vincerlo nuovamente, un giorno, o almeno di poter competere con i migliori nei prossimi anni. Dopo l’impresa, arrivano subito nuove sfide, sempre più difficili. Così è la vita, e cercherò di meritarmi ancora qualche momento magico, in futuro. Ho già pronto un nuovo libro di poesie in lingua inglese, in uscita a Giugno, dal titolo Sacrificial Nights, scritto a quattro mani con uno dei più grandi interpreti della poesia dark internazionale, l’amico Bruce Boston. Ci abbiamo lavorato duramente per diversi mesi. Vedremo dove mi porterà questa nuova avventura.

Oltre le poesie, sei autore di romanzi e racconti, sempre di genere horror e weird. Come è nata la tua passione per questo tipo di letteratura?

La passione per la letteratura ‘dark’ è antica e radicata dentro di me, fin dalle prime letture da adolescente, quando a quindici anni mi è capitata tra le mani la prima raccolta di racconti di H.P. Locevraft, che mi ha spalancato un mondo intero. Ho letto voracemente tutti i classici del genere, fino ai grandi interpreti della narrativa horror moderna e contemporanea, lasciandomi sedurre dalle ombre taglienti di grandi maestri come Richard Laymon, Jack Ketchum, Edward Lee, Poppy Z. Brite, Ramsey Campbell e tanti altri creatori di incredibili storie, di grande fascino. Tutt’ora leggo moltissime opere, e seguo con attenzione tutte le nuove proposte di genere. Ci sono cose meravigliose da scoprire, peccato che una vita sia troppo poca per così tante belle storie.

Hai una preferenza tra poesia e prosa? Ciascuna delle due forme quali aspetti della narrativa ti permette di esprimere al meglio?

Non ho preferenze, scrivo e mi esprimo senza problemi sia in poesia che in prosa, sono due modi diversi di raccontare storie, di comunicare, ma a quanto pare il mio cervello riesce ad adattarsi ai due ‘media letterari’ senza fatica. Chiaramente dedico molto più tempo alla prosa rispetto alla poesia, visti gli impegni editoriali e le esigenze di mercato. Ma lavorare in poesia sicuramente mi sfinisce più rapidamente, è come tirar fuori un super-concentrato di se stessi, un liquor essenziale, il tutto e niente in un momento, anziché lasciare versare la propria immaginazione sulle pagine un poco per volta, con ritmi meno ossessivi, come accade con i racconti e con i romanzi. La poesia è un prelievo troppo generoso a volte, può prosciugarti e non bisogna abusarne.

Per alcune pubblicazioni utilizzi lo pseudonimo Caleb Battiago. Chi è costui rispetto ad Alessandro Manzetti?

Siamo la stessa persona, sul mercato Italiano uso lo pseudonimo di Battiago, fin dall’inizio, mentre sul mercato Internazionale, per le opere in lingua inglese, uso il mio vero nome, in quanto già abbastanza conosciuto. Spero di poter firmare presto anche le mie opere in inglese come Caleb Battiago, ormai all’estero stanno iniziando a prendere confidenza col mio alter ego, la cui genesi nasce da lontano. Non amo usare il mio nome, per motivi strettamente personali e connessi alle mie vicende, questo è il motivo per cui esiste Battiago, un tipo che a volte sembra essere più duro di me. Ma ormai stiamo mescolandoci sempre più.

Il tuo lavoro abbraccia anche i ruoli di editor e traduttore. Nell’Agosto del 2015 hai fondato la casa editrice Indipendent Legions Publishing, specializzata in narrativa horror/splatterpunk di cui vengono pubblicate le migliori penne internazionali, la gran parte inedite in Italia. Cosa ti ha spinto a intraprendere questo nuovo progetto? Come reputi il mercato editoriale italiano nei confronti di questo tipo di narrativa?

Independent Legions è semplicemente la casa editrice che sognavo come lettore, fortemente specializzata nel genere horror, in grado di pubblicare i grandi maestri internazionali dello splatterpunk, purtroppo abbandonati dai grandi e medi editori. Qualche anno fa, come altri appassionati, ero confortato dalle proposte di Gargoyle Books, oggi realtà molto diversa, e dunque ho voluto fare qualcosa di simile ma con ancora maggiore specializzazione, scegliendo proprio lo splatterpunk e gli anni ’80 e ’90, periodo aureo del genere, come riferimenti principali nella scelta delle opere. Altra fondamentale differenza è il fatto che Independent Legions pubblica anche opere di maestri anglosassoni direttamente in lingua originale, dunque ponendosi come una casa editrice di taglio internazionale. Il mercato Italiano nei confronti del genere horror è impreparato e non offre proposte soddisfacenti; manca la specializzazione, prima di tutto, visto che il ‘grande horror’ a cui faccio riferimento è in lingua inglese e bisogna saper fare scouting sui mercati esteri, e poi il mercato tira poco, la richiesta è bassa, a parte gli irriducibili appassionati, e questa è la diretta conseguenza di ciò che è stato proposto finora dagli editori Italiani, con rarissime eccezioni. Tutt’altro scenario è quello del mercato Internazionale, specie negli Stati Uniti e in Inghilterra, dove il genere gode di buonissima salute, per fortuna.

Quali sono i punti di forza del genere horror/splatterpunk? Il fatto che in esso la realtà sprofondi in un truculento baratro di sangue e violenza lo ritieni un espediente narrativo d’impatto, oppure sottintende chiavi di lettura delle dinamiche umane più realistiche di quanto si pensi?

Il genere horror, più di altri, è una fantastica metafora delle umane vicende; le opere di livello sanno arrivare al cuore del lettore con precisione chirurgica. I grandi maestri scrivono tanto tra le righe, e raccontano in modo originale le dinamiche umane, cose che ci appartengono, assolutamente non estranee al nostro quotidiano o al mondo che viviamo, come invece potrebbe apparire fermandosi a una lettura di soglia, che non sa superare la barriera immaginaria del soprannaturale, dei mostri, di realtà apparentemente surreali e parallele. Spesso questo mancato ‘superamento’, il non saper leggere tra le righe, è colpa degli scrittori, tra cui molti italiani, sicuramente mal consigliati dagli editori, che ritengono l’horror mero intrattenimento, una proposta da trattare come narrativa di serie B, in cui tutti possono cimentarsi, incapace di ergersi a genere letterario di tutto rispetto. Leggete i grandi maestri, scoprirete opere di caratura letteraria insospettabile, non lasciatevi gettare il fumo negli occhi da brutte caricature di film da quattro soldi che ci hanno propinato, e che oggi, purtroppo, hanno creato uno stereotipo magro e negativo del genere, contribuendo ad allontanare il potenziale lettore da un libro horror, come se non gli potesse appartenere.

Quali sono i tuoi prossimi progetti in cantiere?

Come ti ho anticipato poco fa, per quanto riguarda la poesia a Giugno uscirà la nuova raccolta, in lingua Inglese, Sacrificial Nights, scritta a quattro mani con Bruce Boston. Ma a Settembre partirà una nuova collaborazione, sempre a quattro mani, con un altro grande interprete della poesia dark internazionale, Marge Simon, pluri-vincitrice del Bram Stoker Award. Ma quest’opera vedrà la luce nel 2017, per un editore americano che ha già fissato la data di uscita. Per quanto riguarda la prosa, a Luglio è in uscita una mia novella inedita, che sarà pubblicata, in Italiano, insieme a una novella di Richard Laymon. Non posso dire di più per non bruciare la notizia all’Editore. Questa stessa novella sarà poi pubblicata anche in inglese a Novembre da un Editore americano. Il titolo della novella posso confidartelo: Pacific Trash Vortex. Oltre a questi progetti come autore, sto lavorando alla traduzione del romanzo L’Isola di Richard Laymon, che sarà pubblicato dalla mia casa editrice a Luglio, insieme ad altri romanzi che stanno traducendo miei collaboratori, e a un’antologia in lingua inglese che sto curando, dal titolo The Beauty of Death, che comprenderà racconti di cica 40 autori, tra cui le migliori firme dell’horror internazionale, escluso Stephen King, insieme ad alcune proposte di autori Italiani. Tornando all’attività autoriale, dopo la vittoria al Bram Stoker Award sono arrivate molte nuove proposte, sia da editori Italiani che statunitensi, ma prima di imbarcarmi in nuove avventure dovrò prima prendermi cura dei tanti impegni già presi. Sicuramente, tra i nuovi progetti che porterò avanti, fatta eccezione per la mia attività come Editore che correrà su più binari, molti di questi saranno dedicati al mercato di lingua inglese.

Grazie per la disponibilità, Alessandro. Ancora i migliori auguri per la vittoria da parte della nostra redazione.

Grazie ancora di questo spazio, un caro saluto a tutti voi e ai lettori di horror!

Intervista a cura di Christian Lamberti

 

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” 22/11/’63 ” di Stephen King

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ISBN 9788868363291 Pubblicato il 12/04/2016 Prezzo 15€ Sperling & Kupfer Editore, collana Pickwick – Disponibile anche in ebook

Quanti di noi vorrebbero tornare nel passato e cambiare gli eventi per un futuro migliore? La nostra diventerebbe un’esistenza perfetta, più spensierata e disinvolta. Al minimo errore è sufficiente fare una capatina indietro nel tempo e tutto si risolve.

Anche Stephen King ha pensato a questa tematica ormai classica nella fantascienza, ma ha voluto fare le cose in grande. Il viaggio temporale mette in gioco non solo il destino del viaggiatore, bensì quello del mondo intero, dal momento che l’evento da dirottare è nientemeno che l’assassinio del presidente americano John Fitzgerald Kennedy.

22/11/’63 è diventato anche una miniserie televisiva – con interpreti di spessore come James Franco, Chris Cooper e Sarah Gadon – che sta andando in onda proprio in questo periodo.

In 22/11/’63 scorrazzare nel tempo non equivale a una gita di piacere. Ci sono delle regole che equilibrano l’esistenza e la loro infrazione comporta degli scompensi non da poco. Per prima cosa l’effetto farfalla: piccole variazioni degli eventi producono grandi conseguenze future. Per tale motivo il passato tende costantemente a armonizzarsi, impedendo ogni interferenza verso il naturale decorso della storia. Gli strani individui con la tessera cangiante in cui si imbatte il protagonista sembrano in qualche modo coinvolti in queste logiche dimensionali.

Altra regola: una volta tornati nel presente i cambiamenti apportati nel passato permangono fin quando non vi si ritorna. Se lo si fa, tutti gli interventi effettuati nel precedente viaggio vengono azzerati. Inoltre, a prescindere da quanto sia durata la permanenza nel passato, giunti nel presente sono trascorsi solo pochi minuti dalla partenza.

Molte tra queste regole il vecchio Al le conosce bene perché le ha sperimentate personalmente. Dietro il suo ristorante ha scoperto per caso il varco temporale – che ha battezzato “la buca del coniglio” – e da quel momento ha maturato l’idea di cambiare in meglio la storia salvando la vita al presidente Kennedy in quel fatidico attentato a Dallas del 22/11/1963. Purtroppo un tumore non lascia ad Al abbastanza tempo per portare a termine la sua missione, perciò decide di designare come suo sostituto Jake Epping, un professore di liceo, istruendolo al meglio sull’operazione e fornendogli tutti i dati raccolti durante i soggiorni nel passato.

Dopo le prime titubanze Jake accetta e si ritrova nella Derry del 1958 (l’anno di partenza una volta varcato il portale temporale è sempre lo stesso). Da questo momento egli dovrà costruirsi una nuova, falsa identità. Gli appunti lasciatigli da Al sono la sua fonte di sopravvivenza primaria, oltre a contenere informazioni cruciali per intercettare Lee Harvey Oswald, il presunto attentatore di Kennedy, prima che sia troppo tardi. L’impresa si preannuncia disperata, e lo diventerà ancora di più quando le forze dimensionali di armonizzazione interverranno per ostacolare Jake, che tra l’altro non ha la minima idea delle ricadute che le sue azioni avranno sul futuro.

Stephen King imbastisce una trama coinvolgente. Il suo stile minuzioso ricostruisce nel dettaglio la società americana degli anni Sessanta, rendendola vivida e palpabile pagina dopo pagina. Al suo interno si intrecciano le vite di svariati personaggi, tutti con una personalità ben definita e che in molti casi, almeno inizialmente, rivelano meno di quanto in realtà nascondono. Qualcuno lo fa per necessità, come Jake, altri per subdoli propositi.

La trama si dipana su una scacchiera dove tempo e fato muovono le pedine per intrappolare Jake in uno scacco matto e impedirgli di adempiere al suo compito. Come può un uomo frapporsi a tali forze cosmiche? Per quanto Jake si sforzi di stringere a sé i propri affetti, per quanto sia determinato nel perseguire i propri obiettivi, realizza che sta conducendo una lotta impari. Può la caparbietà umana piegare volontà ben più soverchianti? Stephen King si sofferma spesso su questi dissidi, e ne trae delle riflessioni esistenzialiste che sfiorano la poesia.

22/11/’63 non è un semplice thriller fantapolitico, ma un calderone ribollente di passione, amore, sacrificio, lotta contro il tempo e l’inesorabilità del fato. Seguire tutte le dinamiche di questa partita a scacchi è un’esperienza di lettura appagante e toccante come poche. Non si narra solo di un viaggio temporale, ma anche di un viaggio spirituale per comprendere fino a che punto è lecito spingersi e quando astenersi dal proseguire. Spesso rinunciare non è un atto di resa, quanto piuttosto una saggia presa di coscienza che solo i più coraggiosi osano compiere.

Prendete anche voi una saggia decisione, e regalatevi un’esperienza indimenticabile leggendo 22/11/’63.

Recensione a cura di Christian Lamberti

 

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